Un tempio speciale, Anugraha Śakti Pīṭha

Il tempio di Śrī Lalitā Maha Tripurasundarī non sorge da un atto di volontà o desiderio personale, ma possiamo sicuramente affermare che ha origine da una rivelazione o “suggerimento”, come lo definisce Svāmī Ji, della Madre Divina stessa. Infatti nel 1964 quando Paramahamsa Svāmī Yogananda Giri era poco più che un ragazzo ebbe la prima chiara visione, che si sarebbe ripetuta successivamente per altre quattro volte, del luogo dove più tardi sorse il monastero Svami Gitananda Ashram e successivamente il Tempio della Madre divina.

Svāmī Ji, consumato il karman  mondano, fu condotto per mano della Divina Śakti, a un nuovo percorso di amore e servizio.
Svāmī Yogananda Giri riconobbe questo santo Pīṭha quando fu invitato “apparentemente” in modo casuale a visitare questo luogo. Poi, il gioco divino iniziò nel percorso disegnato dalla Suprema Ispiratrice.
Sin dagli albori nel Monastero indù, Math, del Gitananda Ashram è stato presente un luogo di culto per la celebrazione del rituale. L’intero Monastero è paragonabile a una vera e propria città tempio, con il complesso templare distribuito sul suo territorio, in un affascinante connubio di architettura tradizionale e ambiente silvestre immerso nella natura e ricco di suggestione.

La prima forma di Śiva-Śakti, nella raffigurazione del Liṅgam venne inscritta su una base quadrangolare, all’ombra di un antico albero di faggio.
Fu poi la volta dello Śakti Mandir. Infine, all’inizio degli anni novanta, la Madre divina decise di prendere una dimora ancora più dignitosa nei boschi di Altare.
La Devī scelse di dimorare su di un crinale che separa idealmente il mare dalle Alpi, in località Pellegrino, in un angolo tra i castagni, dove già una piccola sorgente d’acqua faceva sgorgare dalla solida roccia del sottosuolo un impercettibile zampillo.
…nel 1992 furono gettate le fondamenta… quindi sorse il maṇḍapa, senza infissi, con dei semplici frangisole che lo delineavano, ovviamente non riscaldato e senza elettricità. Ha ospitato per anni un culto semplice, essenziale, estremamente efficace per il tapas, la disciplina interiore. Eppure la devozione si faceva sempre più spazio in questi luoghi. La Madre divina iniziava ad ambientarsi anche al freddo e alla neve delle Alpi marittime. E così nel 2000 un gruppo di scultori, sthapati, esperti in costruzioni sacre, giunse dall’India per definire l’aspetto decorativo…

 

… ora nel tempio, di particolare importanza per la sua struttura, tipica del sud India, e la sua ricca rappresentazione iconografica e yantrica, oltre alle murti delle divinità principali, la Devī e molte altre divinità femminili protettrici, si trovano un Liṅgam, simbolo di Śiva, di 1080 kg, davanti al quale è collocato un imponente Nandi; oltre a raffigurazioni di Gaṇeśa, dei nove pianeti, Navagraha (con funzione di protezione), di ṛṣi e avatāra rivelatori della Śrī Vidyā.

Svami Vivekananda  affermava che l’adorazione dello Śivaliṅga  ebbe origine dal famoso inno dell’Atharva-veda Saṃhitā, lo Skambha Sūkta, cantato in lode dello yūpastambha [una sorta di axis mundi]. L’inno contiene una descrizione dell’origine del Liṅga nel mito della colonna (stambha) di fuoco e il termine stambha skambha, la colonna senza principio e senza fine, designa l’eterno Brahman (…). (da Il monaco del dialogo Ed. Laksmi)

[Nel contesto della mitologia indù, stambha, la colonna cosmica, si ritiene funzioni come un legame che unisce il cielo (svarga) e la terra (pṛthvī)].